Con il termine Agricoltura sociale si intende l’insieme delle attività agricole e connesse finalizzate alla promozione di azioni di inclusione sociale e lavorativa, di servizi utili per la vita quotidiana, di attività educative, ricreative o che affiancano le terapie. In realtà, nonostante si parli ormai da oltre un decennio di Agricoltura sociale, non sembra ancora sufficientemente chiaro cosa si intenda con questa locuzione, proprio per la presenza di pratiche e riferimenti teorici anche molto differenti tra loro, che si configurano come un contenitore di risposte differenti a problematiche ed esigenze locali, contestuali, specifiche (Giarè, 2013).
La locuzione agricoltura sociale è stata utilizzata a partire dagli anni 2000 con l’intento di definire una serie di iniziative volte a offrire servizi alla popolazione nelle aree rurali, con particolare riferimento a quelle esperienze di inclusione sociale e lavorativa che si erano diffuse in alcune zone d’Italia.
Il termine riprende in questo senso il significato della locuzione anglosassone social farming, utilizzata per definire, in contesti diversi da quelli italiani, quell’insieme di pratiche finalizzate all’inclusione e alla co-terapia.
Il Comitato Economico sociale europeo (CESE) ha sottolineato in un documento come scopo dell’agricoltura sociale sia quello di creare le condizioni all’interno di un’azienda agricola che consentano a persone con specifiche esigenze di prendere parte alle attività quotidiane di una fattoria, al fine di assicurarne lo sviluppo e la realizzazione individuale, contribuendo a migliorare il loro benessere. In sostanza una pratica multifunzionale.
Un elemento comune riguarda il fatto che tali attività agricole sono realizzate con finalità produttive e sociali a beneficio di soggetti fragili (persone con disabilità fisica o psichica, psichiatrici, dipendenti da alcool o droghe, detenuti o ex-detenuti, ecc.) o sono indirizzate a fasce della popolazione (bambini, anziani) per cui risulta carente l’offerta di servizi (Di Iacovo, 2008).
L’Agricoltura Sociale italiana viene definita ‘inclusiva’ (Dessein, Bock, de Krom, 2013; Di Iacovo e O’Connor, 2009) per la prevalenza di esperienze realizzate con la finalità dell’inclusione sociale e lavorativa, rispetto a quelle di offerta di servizi, tipica di alcuni paesi del nord Europa, caratterizzati da un sistema di welfare sostanzialmente diverso da quello italiano.
Un altro elemento caratterizzante riguarda l’uso della terra e delle risorse dell’agricoltura luogo preposto alle attività di Agricoltura Sociale.
In molti casi vengono utilizzati territori marginali (es. aree interne) o residuali, spesso abbandonati o sotto-utilizzati, come quelli nelle aree peri-urbane, oppure terre pubbliche o, ancora, appartenenti a fondazioni o altre realtà che non ne fanno uso produttivo.
Una significativa parte di queste esperienze, infine, opera su terre e strutture sottratte alla criminalità organizzata.
L’Agricoltura Sociale, attraverso l’uso ‘corretto’ della risorsa terra contribuisce, dunque, anche a ridefinire in senso positivo il rapporto tra agricoltura e società:
- aumento della reputazione delle aziende agricole (Di Iacovo F., O’ Connor D., 2009), costruzione di trame di fiducia nei contesti locali
- stimolo all’ingresso di nuovi attori nel settore
L’Agricoltura Sociale si è sviluppata soprattutto nei contesti organizzati e orientati al mercato, tipici delle imprese e delle cooperative sociali agricole, a conferma del fatto che il rapporto con la terra e l’attività produttiva risulta centrale in queste pratiche e contribuisce anche alla loro sostenibilità.
L’utilizzo delle risorse agricole a fini sociali, tuttavia, si è diffuso anche in altri contesti, come testimoniato dalla presenza di orti terapeutici presso ospedali o centri diurni, attività agricole presso istituzioni carcerarie o cooperative sociali orientate alla fornitura di servizi alla persona.
L’Agricoltura Sociale si caratterizza, inoltre, per la fitta rete di collaborazioni, spesso non formalizzate, tra attori che operano in settori e con finalità differenti.
Gli accordi, quando vengono formalizzati, hanno una dimensione prevalentemente locale (piani socio-sanitari di zona, protocolli di intesa, accordi di programma, ecc.) e rispondono a esigenze specifiche, per le quali vengono messe in sinergia le competenze e le professionalità disponibili.
Si tratta, dunque, di innovazioni di tipo organizzativo a geometria variabile, con un forte radicamento nel territorio, flessibili e aperte a sempre nuove modifiche.
L’Agricoltura Sociale assume rilevanza anche come pratica di innovazione sociale (Giarè, 2013), in quanto, accanto all’offerta di servizi nuovi in risposta a bisogni affatto o per niente soddisfatti altrove, offre anche percorsi innovativi di co-costruzione dei servizi stessi, con il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei diversi attori.
Queste sue specificità, legate anche al sistema agricolo italiano, basato essenzialmente su un’agricoltura familiare e di piccola scala, ne fanno un caso particolarmente interessante nel contesto internazionale.
La variabilità di forma e contenuto dell’Agricoltura Sociale in Italia è stata presa in considerazione nel percorso che ha portato all’approvazione della legge n. 141/2015, che definisce il ruolo dell’agricoltura sociale “quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate” e individua quattro tipologie di intervento:
- inserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate;
- prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali;
- prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative;
- progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare di minori e persone svantaggiate.
Il legislatore ha confermato, quindi, innanzitutto il ruolo dell’AS come strumento di inclusione sociale e lavorativa, ma dà spazio anche alle pratiche più recenti di diversificazione aziendale verso ambiti di tipo sociale, educativo, sanitario.
La legge, e il lungo percorso compiuto per la sua redazione e approvazione, hanno dato ulteriore visibilità all’Agricoltura Sociale , che trova ampio spazio nell’attuale fase di programmazione dei fondi comunitari sia in ambito agricolo con i Programmi di Sviluppo Rurale sottomisura 6.4.a e misura 16.9 per creare progetti di cooperazione attraverso Gruppi Operativi (PEI) e la Rete Rurale Nazionale sia in ambito sociale (Programmi Operativi Regionali e Piano Nazionale Inclusione).
Fonte: Rete Rurale Nazionale